Enzo Di
Martino
Ci
sono opere che dichiarano esplicitamente la loro ambiguità,
che sembrano fare il “doppio gioco”, si potrebbe
dire, affermando in tale maniera la loro collocazione sui
terreni della non rappresentazione e rivendicando anzi la
loro funzione deviante e disturbante.
Il fatto può accadere indifferntemente sia nelle
immagini di derivazione figurativa che in quelle inoggetive.
Come nel caso di queste tele di Luciana Cicogna che, nel
momento stesso in cui si manifestano sotto le vesti apparenti
del purismo razionalistico, assumono invece i connotati
di campi di esplicitazione dell’emotività.
I segmenti ed i tagli che attravesano, rompono e frazionano
i vasti spazi di colore, non rispondono qui ad alcuna logica
prestabilita ma, al contrario, sembrano disporsi secondo
un “disordine” determinato da una pura necessità
istintuale.
Essi portano lo scompiglio all’interno di un mondo
(la superficie) concepito come immobile ed impertubabile,
sacro ed intoccabile.
I lavori di Luciana Cicogna, allora, pur manifestandosi
nel segno allusivo delle apparenze formali ,spesso anche
eleganti, assumono in effetti una funzione che è
speculare rispetto alle idee, costituiscono cioè
l’aspetto visivo di una riflessione altrimenti intraducibile.
Ne risulta una pratica dell’arte che ha come riferimento
solo sé stessa, come avviene sempre in quel mondo
immaginativo che chiamiamo in una parola “astrazione”,
fatto di attraversamenti mentali e di moti dell’anima
2 Dicembre1984