Diego Collovini
Nell’
infinito il colore
Ciò che vediamo non è un dato
nudo e crudo, ma il prodotto di esperienze passate e di
attese future.
H. Gombrich
La pittura di Luciana Cicogna si sviluppa
essenzialmente in due momenti distinti e separati: uno si
dipana nella creazione delle forme, un altro invece trova
la sua esternazione nell’atto pittorico. Sono due
aspetti di una stessa azione – seppur prodotti in
tempi differenti – che trovano, esclusivamente nella
fase della composizione, la loro essenza. Sono però
anche due momenti che, pur prospettandosi con un indipendente
percorso, non vivono autonomamente, né si possono
dare l’uno senza l’altro. Infatti la loro complementarietà
trova la sua ragione di essere nel momento dell’ultima
fase, quella della percezione.
Cicogna ci propone una lettura e una ri-costruzione che
inizia proprio dalla fase della percezione e ciò
ci permette di analizzare il suo lavoro partendo da quello
stato di apparente incertezza e di disequilibrio formale
che immediatamente si prova nel vedere l’opera nella
sua interezza. Ciò che rende intrigante dunque è
quel senso di spontanea instabilità che si avverte
nella mancanza di un piano pittorico primario e certo, cioè
quello che è proprio della superficie in quanto luogo
della pittura o delle composizioni formali. I piani pittorici,
nelle opere dell’artista veneziana, sono tutt’uno
con quelle forme spesso indefinibili, simili a brandelli
segnici, a immagini di visioni materiali che aleggiano su
un ideale luogo, la cui dimensione è segnata dalla
stessa intensità cromatica della luce e dal volume
del colore. Le opere di Luciana Cicogna si offrono dunque
ad una visione in uno stato aleatorio e problematico, comunque
interrogativo. Di conseguenza se ne stabilisce una prima
corrispondenza: forma uguale superficie; però non
ci sembra con questo aver dato completa identità
all’opera, poiché a questa appartiene, come
atto essenziale ed irrinunciabile, l’azione pittorica.
Questo è l’ultimo atto mediante il quale l’artista
dà consistenza, anche materiale, alle forme ed amplifica
la varietà dei linguaggi adoperati. La consistenza
dell’atto compositivo si avvale dunque di precise
materialità, dapprima quella del collage, come momento
compositivo in cui è la materia a dare corpo al colore,
e uno più squisitamente pittorico, che armonizza
i vari piani compositivi ed è più legato alle
caratteristiche illusorie del colore e del segno. Sono dunque
le brevi e ritmiche pennellate, l’alternarsi di colori
caldi e tenui con altri freddi e profondi che inducono ad
una percezione fantastica ed immaginifica, apparente come
la realtà ed ingannevole come la memoria, tanto che
a volerci trovare qualcosa di reale, si può scoprire
tutto ciò che la nostra mente immagina: siano delle
forme sospese sul nulla, e ancora delle figure tenute in
equilibrio da un filo, da un segno che ancora ci porta a
pensare ad altro come l’orizzonte che produce altro
spazio, ancora più ampio di quello pittorico, incommensurabile
come l’infinito.
Ma ciò che induce a porre attenzione alle opere di
Luciana Cicogna sono anche altri elementi, altri indizi
che sconvolgono ulteriormente la certezza di quanto andiamo
in cerca di vedere. Sono altre impercettibili sensazioni
– stavolta appartenenti alla personalità dell’artista
– che si intrecciano e si confrontano nel diverso
gioco del divenire, come un immutabile procedere, che, se
da un lato muove alla ricerca del presente e del suo trasformarsi,
dall’altra guarda il procedere artistico e creativo.
L’artista intraprende così un ideale percorso
a ritroso. E in questo fare prende consistenza un’idea
di venezianità; sono i colori mutevoli della luce
che registra le realtà vissute e rivissute quotidianamente,
in quell’alternanza di umori stagionali che la città
riversa su chi la vive. Tutto il colorismo muove da estremi
diversi, per ripercorrere gli ovattati toni delle stagioni
grigie e fredde, o integrarsi in quelli solari e vivi di
una luce vigorosa e ardente, che appartiene ai momenti intensi
e luccicanti dei periodi caldi. Questo rappresenta il divenire
di un atto pittorico, una progressiva scoperta di una luce
che si combina quotidianamente con il colorismo cangiante
della realtà; è un atto creativo che ripercorre
un tragitto, che immancabilmente porta alle esperienze artistiche
individuali, ma anche a quelle della storia dell’arte.
Nelle opere di Luciana Cicogna s’intravede la certezza
dell’esperienza e la sicurezza della validità
dei linguaggi esperiti nelle sue frequentazioni artistiche.
Non un solo modo di dipingere, non un solo modo di creare
le forme, non un solo modo di dare consistenza alle immagini,
ma tutte le possibilità che l’esercizio pittorico
permette o che la vita ha messo assieme.
Non credo comunque si possa ricorrere ad una sola definizione
per dare consistenza a queste esperienze, non penso nemmeno
che queste siano riconducibili ad un solo periodo della
vita creativa dell’artista, ma piuttosto un continuo
e riflessivo lavoro di analisi e di ricerca all’interno
degli infiniti linguaggi della pittura. Tutto ciò
in un lavoro in itinere, spesso fuori da una preordinata
progettualità razionale, ma anche lontano da possibili
certezze percettive. I probabili riferimenti ad esperienze
pittoriche, non fanno che affermare, ancora una volta, la
forza comunicativa della pittura, la sua capacità
di cogliere non solamente un immediato momento esistenziale,
ma anche quello più ampio – e per questo meno
preciso – dello spazio infinito che proprio nel suo
assioma dell’incommensurabilità, diventa metafora
della creatività dell’arte e dell’illusorietà
della pittura.
Novembre
2000